Caro direttore, mi limito a fare alcune ulteriori considerazioni su un tema molto attuale: quello della crisi e sulle osservazioni del lettore Claudio Casadei.
Sulla crisi è naturale che ci siano diverse interpretazioni; d’altra parte già nel mio articolo facevo riferimento alla possibilità di vedere il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, sottolineando che vederlo “sempre mezzo vuoto” non è né vero né saggio. Non sono affatto d’accordo sulla descrizione che Casadei fa del moderno imprenditore e del moderno lavoratore. Caro Casadei, generalizzando in questo modo non si va da nessuna parte.
Ci sono, e sono molti, gli imprenditori corretti che lavorano bene, che si impegnano per lo sviluppo delle loro aziende e per creare posti di lavoro sicuri, che trattano bene i propri dipendenti e rispettano le leggi.
Parallelamente ci sono molti lavoratori dipendenti che si impegnano seriamente e rispettano le aziende per le quali lavorano; purtroppo è altrettanto vero che, in entrambi i campi, ci sono dei “biricchini” che fortunatamente, non sono la regola.
E’ invece vero, ed è facile concordare, sul fatto che vivere con 1.200 euro al mese non è semplice; d’altra parte, però, non è la crisi che ha livellato verso il basso i salari e gli stipendi. Sono anni che le cose non vanno per il verso giusto su questo fronte. E sono anche d’accordo nel dire che i sindacati da troppo tempo hanno perso la loro bussola che è: difendere gli interessi dei lavoratori (di quelli che lavorano e di quelli che il lavoro lo cercano) ed inseguono invece, troppo spesso, un puro desiderio di potere e di denaro (vedi “L’altra Casta” di Stefano Livadiotti).
Un altro punto su cui sono d’accordo: “il problema vero è il costo del lavoro, il peso delle tasse applicate su di esso”. Su questo punto io da tempo ho una mia idea che ho cercato di fare conoscere a diversi personaggi politici e sindacali e della quale ho scritto alcune cose anche su “la Piazza” nel 2006.
A mio avviso, il compenso per il lavoro dipendente (salario o stipendio) deve essere libero da tutte le contribuzioni sociali che lo rendono gravoso per le aziende e le spingono a specularci sopra. Le risorse per la Sanità e per le Pensioni devono essere prelevate dalla fiscalità generale con una apposita riforma.
Dovremmo cercare di ottenere l’uguaglianza, o quasi, fra il valore del lavoro (ossia il compenso percepito dal lavoratore) e il costo del lavoro ovvero quello che l’imprenditore spende. Abbandoniamo l’idea e il concetto, ormai superati, che certe contribuzioni devono essere calcolate sulla testa dei lavoratori.
Su questo tema anche sulle colonne de la Piazza si potrebbe aprire una discussione ed un bel dibattito. Chissà che non venga fuori una qualche idea da girare trasversalmente ai nostri politici.
Gianfranco Vanzini