di ALESSANDRO BONDI *
Si è scritto di personaggi e fatti legati a quella forma di criminalità organizzata chiamata ‘ndrangheta. Radicamento, caratteristiche, indagini giudiziarie e cenni della sua storia hanno offerto la cornice di un quadro complesso. Ora ci si soffermerà su qualche dettaglio, aggiungendo altre fonti a quelle citate. L’ndrangheta è rimasta in parte originale nello spirito, ma diversa nelle forme, negli affari, nella spregiudicatezza geografica delle sue infiltrazioni e radicamenti. C’è chi la chiama Cosa nuova con riferimento al tentativo, nell’estate del 1991, di creare un coordinamento verticistico dell’organizzazione dopo i 5 anni di guerra di mafia che avevano insanguinato Reggio Calabria (Garullo, 2016; Apollonio, 2012). L’ndrangheta è un’organizzazione-holding con almeno una sede storica nella provincia di Reggio Calabria, una società gemella nel catanzarese, una finanziaria nel milanese, e società figlie sparse per tre continenti. La sua attività segue un copione che unisce qualche iniziazione sotto l’immagine di San Michele Arcangelo, molta attività in franchising col marchio di origine controllata calabrese, costante attenzione per l’affare del momento: si sospetta che il 70% delle 60 imprese colpite da misure di prevenzione per i lavori per l’Expo sia legato all’ndrangheta (Pignedoli, 2015).
La sede emiliano-romagnola inverte in parte la geografia mafiosa e rappresenta efficacemente l’immagine manageriale di questa impresa criminale. Reggio Emilia è la città di riferimento. Dal 1983, vi risiede in soggiorno obbligato Antonio Dragone, un bidello, capo cosca di Cutro in provincia di Crotone. Gli inizi sono turbolenti. Scorre il sangue con la faida tutta cutrese tra Antonio Dragone e il suo braccio destro Nicolino Grande Aracri. L’uccisione del figlio di Antonio Dragone definisce infine il nuovo assetto societario ‘ndranghetista in Emilia- Romagna, sotto Nicolino Grande Aracri e suo fratello Francesco. La più recente indagine (Aemilia) offre altri dettagli al quadro dell’ndrangheta emiliano-romagnola. Un’impresa criminale che qui non usa colori forti, abbonda di sfumature, cerca il consenso, è attenta alla stampa. I suoi tratti sono disegnati dall’autonomia rispetto alle cosche di origine, dalla vicinanza alla politica e imprenditoria locale, dalle linee guida del vertice unita a libertà d’azione delle ‘ndrine. La paura dell’ndrangheta è, come sempre, il miglior marchio di fabbrica; ma la violenza alle persone ora è limitata. In genere, basta qualche incendio o danneggiamento per superare le titubanze di certi politici e imprenditori (Pignedoli, 2015). Le immense disponibilità di denaro proveniente dal traffico di droga e dalla complessa holding ‘ndranghetista cercano occasioni per il riciclaggio e il reimpiego di capitali illeciti. Insospettabili imprese emiliano-romagnole trovano nell’ndrangheta un’opportunità finanziaria, industriale, commerciale rara: solvibilità garantita, fornitori disponibili, recupero crediti assicurato, burocrazia veloce e comprensiva, forza lavoro flessibile e senza tentazioni sindacali. La ricchezza della regione, inoltre, nasconde bene la nuova ricchezza criminale. Le false fatturazioni richieste dall’ndrangheta per trasformare l’imprenditore in un complice non sono mai state veramente estranee al mercato imprenditoriale del Nord. Poi c’è la politica dei miti, dove la forza dell’immagine diventa la debolezza dei fatti. Chi può pensare che Brescello, il Paese di Don Camillo e Peppone, la terra dei comunisti rispettati anche dal monarchico Guareschi, possa avere a che fare con la mafia: questione di Meridione, latifondi, briganti. La politica è impegnata con temi più importanti e moderni: guarda a chi riscrive la geografia, inventa la Padania, si battezza nel Po (Ciconte, 2010). Infine, questa politica si trova l’ndrangheta in casa, con paura in calabrese e affari in inglese.
Se un prefetto infastidisce, si crea un comitato di elettori e il voto di scambio è alle porte: per essere votati a Reggio Emilia, si fa campagna elettorale nella città di Cutro (cfr Pignedoli, 2015). Certo, la distrazione mafiosa non è solo padana, emiliano romagnola, italiana; questione di orgoglio politico o d’immagine turistica da preservare con la superficialità dell’arroganza o la convenienza del colluso. I sei calabresi uccisi a Duisburg, nel Ferragosto del 2007, fanno conoscere alla Germania l’ndrangheta. I tedeschi sono colpiti dalla varietà e fantasia delle nostre imprese criminali; dalle ‘ndrine dei Nirta, degli Strangio, dei Pelle Vottari; dai 16 anni della faida di San Luca; dall’impreparazione della propria intelligence che del radicamento dell’ndrangheta ignorava praticamente tutto. Questione grave, per la Germania che non conosce il reato di associazione criminosa di tipo mafioso. Questione ugualmente grave per l’Emilia-Romagna e il Nord in genere, se si pensa che per configurare il reato di associazione mafiosa e, soprattutto, per applicare le misure di prevenzione previste dalla legge Rognoni-La Torre c’è bisogno di un radicamento, di una struttura: quasi mai è sufficiente la sola attività mafiosa registrata nel Nord dalle prime indagini dei giudici (Ciconte, 2010). Ma è un problema passato da tempo. Nelle 1301 pagine del Gip di Bologna Ziroldi che, il 28 gennaio del 2015, ordina l’arresto di 117 persone tra la Calabria e l’Emilia si trova una struttura articolata e devota al malaffare: gli uomini della cosca Grande Aracri di Nicolino in compagnia di politici locali, giornalisti, professionisti, usurai di Modena e Piacenza.
Le intercettazioni registrano anche le risate e gli apprezzamenti degli ’ndranghetisti per il terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012. In effetti, saranno importanti i lotti aggiudicati alla Bianchini srl: impresa tanto attiva nella ricostruzione delle zone colpite dal sisma, quanto vicina alla cosca Grande Aracri. E siccome l’affare si fa sull’affare ottimizzando le risorse, la Bianchini srl miscelerà la terra da scavo con rifiuti di amianto per costruire gli edifici scolastici temporanei del suo lotto (AA VV, 2015). L’edilizia, d’altronde è sempre nel cuore dell’ndrangheta. All’edilizia non manca mai l’uomo giusto al posto giusto, un politico per approvare e un tecnico comunale per gestire. La legge aiuta, premia il merito: un tecnico ha diritto a un incentivo del 2% per ogni opera di cui si occupa. Può accadere che un dirigente segnali anomalie, che il sindaco le ignori, che il tecnico sia accusato di abuso d’ufficio. Ma è il rischio dell’impresa criminale, una voce di bilancio facile d’ammortizzare (cfr Pignedoli, 2015).
*Professore, Cattedra di Diritto penale Dipartimento di giurisprudenza
Università di Urbino
Nuove fonti citate: AA. VV.‘Ndrangheta all’emiliana, Repubblica, 2015; Apollonio, A., Cosa nuova, Pellegrini, 2012; Ciconte, E., ‘Ndrangheta padana, Rubettino, 2010; Garullo, R., Guardie e ladri, Super cosa nostra e cosa nuova: le indagini sulle mafie in Sicilia e Calabria, all’epoca di “riservati” e “invisibili”, Sole 24 Ore, 2.2.2016; Pignedoli, S., Operazione Emilia. Come una cosca di ’ndrangheta si è insediata nel nord, RCS, 2015.