Tratto da lavoce.info
DI STEFANO DI COLLI, economista presso il Servizio Studi, Ricerche e Statistiche di Federcasse
E PASQUALE CAPRETTA, Economista presso il Centro Studi Confindustria, dove si occupa di modelli econometrici di previsione sull’economia italiana
Quali saranno le conseguenze della guerra in Ucraina per l’economia italiana? Molto dipenderà dalla sua durata, ma alti prezzi di gas, petrolio e altri prodotti incideranno in modo strutturale sulla crescita del Pil almeno per i prossimi due anni.
Lo shock della guerra
Nel primo trimestre del 2022, a livello globale, si sono manifestati diversi segnali di shock di offerta, a causa della forte ripartenza dell’economia dopo la pandemia: penuria di materie prime, difficoltà a reperire manodopera, colli di bottiglia nelle filiere produttive internazionali. La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata il 23 febbraio, oltre a enfatizzare alcuni fenomeni già in corso, ha indotto un ulteriore shock economico-finanziario che si esplica attraverso molteplici canali di trasmissione:
l’ulteriore aumento dei prezzi energetici (in particolare gas e petrolio) e dei beni agricoli, che erode significativamente i margini operativi delle imprese, con riflessi negativi sull’attività economica;
il peggioramento delle difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare quelli provenienti dai paesi coinvolti;
il forte incremento dell’incertezza (visibile ancora solo parzialmente dai dati di febbraio) che influenza negativamente la fiducia degli operatori penalizzando le decisioni di investimento delle imprese e di consumo delle famiglie: l’indice di incertezza della politica economica per l’Italia è salito del 21,1 per cento nella media dei primi due mesi del 2022 rispetto al quarto trimestre del 2021, ma è destinato ad aumentare ancora. Nei primi quattro mesi della pandemia (marzo – giugno 2020) aveva avuto un incremento medio del 62,8 per cento rispetto ai 12 mesi precedenti, in quelli successivi al fallimento di Lehman Brothers salì del 30,7 per cento e dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 dell’85 per cento;
le sanzioni e le contro-sanzioni economiche applicate alla Russia;
il livello di rischio sui mercati finanziari, che cresce e dovrebbe ulteriormente peggiorare, per via della possibilità di default del governo russo, di istituzioni bancarie e industrie e dell’elevata volatilità di alcuni tassi di cambio.
Previsioni sulla crescita
La complessità del quadro attuale rende estremamente incerto un esercizio previsivo. Può essere utile, però, l’elaborazione di scenari alternativi rispetto all’ipotesi di base che indica una durata del conflitto di circa quattro-cinque mesi, la più comune tra i principali istituti di previsione. In questo scenario, il Pil italiano salirebbe dell’1,9 per cento nel 2022, circa 2,2 punti percentuali in meno delle previsioni di ottobre, e dell’1,6 per cento nel 2023. Questo profilo di crescita per il 2022 è di oltre 1 punto percentuale inferiore a quello precedentemente ipotizzato dal Ministero dell’Economia e Finanza e dalla Banca d’Italia, e di 0,4 per cento a quello del Fondo monetario internazionale. Per il 2023 è minore di 0,7 per cento rispetto a quello del Mef, di 1,5 per cento rispetto alla Banca d’Italia, di 0,1 per cento a quanto previsto dal Fmi.
Le due simulazioni alternative sono state condotte sotto le assunzioni che la guerra, o quanto meno i suoi effetti su alcune quotazioni, possa durare per tutto il 2022 (scenario “avverso”) o fino alla fine del 2023 (“severo”).
Scenario avverso
Lo scenario avverso include un’ipotesi di moderato peggioramento rispetto al caso di base, che si distingue dagli scenari alternativi proposti da Mef e Banca d’Italia (molto più pessimistici). Nel caso il conflitto o il blocco delle esportazioni si estendano fino a dicembre 2022, si è ipotizzato che il prezzo del gas europeo (che influenza il costo dell’elettricità in Italia), del petrolio (Brent), del carbone e di alcune commodities agricole (in particolare grano e frumento) mantengano il livello previsto per il secondo trimestre di quest’anno (136 euro a mwh per il gas, 114 dollari al barile per il Brent) fino a dicembre 2022, tornando su livelli più bassi, ma comunque elevati in prospettiva storica, entro l’anno successivo. Allo stesso tempo, si è ipotizzato che il grado di stress sui mercati finanziari, misurato dall’Ofr Financial Stress Index, sia maggiore di quello dello scenario di base. Questa variabile viene presa come proxy per il grado di incertezza sui mercati.
Nello scenario avverso il prezzo del petrolio è stato fissato a un livello medio annuo di 111,9 dollari (3,25 dollari superiore allo scenario base) nel 2022 e di 94,8 dollari (5,25 dollari in più rispetto alla baseline) nel 2023, quello del gas a 126,5 a mwh nel 2022 e 102,5 nel 2023, lo stress finanziario è di 1,79 punti superiore nel 2022 e di 0,91 punti nel 2023 (tabella 1).
L’effetto totale dello scenario avverso sulla crescita del Pil italiano sarebbe di -0,3 per cento nel 2022 e di -0,6 per cento nel 2023 (-0,8 per cento cumulato nel biennio).
Scenario severo
Lo scenario severo si muove dall’assunzione che la guerra o il blocco delle esportazioni si prolunghino fino a tutto il 2023. Nel 2022 differisce da quello avverso solo per un più forte shock finanziario: si ipotizza che il grado di stress finanziario si attestasti su un livello superiore a quello dello scenario avverso nel secondo trimestre del 2022 fino a dicembre 2023. Nel 2023, invece, il prezzo del petrolio (Brent) è stato fissato a un livello medio annuo più alto di 24,5 dollari rispetto allo scenario base, quello del gas a 31 euro a mwh in più, mentre lo stress finanziario sarebbe di 4,66 punti (Ofr Financial Stress Index) maggiore. Si tratta di un quadro simile a quello del primo scenario alternativo del Mef (dove però si ipotizzano valori medi del prezzo del gas superiori nel biennio con picchi di oltre 200 €/MWh nel periodo novembre 2022-febbraio 2023, ma non si include l’incertezza finanziaria) e dello scenario “intermedio” della Banca d’Italia (che immagina degli strascichi sulla fiducia e sull’incertezza di durata inferiore ma aumenti più significativi del prezzo del gas, più elevati di circa il 40 e il 50 per cento nel 2022 e nel 2023 rispetto alle quotazioni dei contratti futures nelle dieci giornate lavorative precedenti il 1° aprile, e del petrolio, di circa il 30 e il 20 per cento).
L’impatto complessivo sul Pil italiano in caso di scenario severo è di -0,4 punti percentuali di crescita in meno nel 2022, di -1,7 per cento nel 2023 (-2 per cento cumulato nel biennio 2022-2023). La crescita annua sarebbe negativa (-0,1 per cento) nel 2023. L’effetto prodotto dallo scenario avverso del Centro Studi Confindustria è dunque minore di quello risultante dal primo scenario alternativo del Mef (-0,8 per cento nel 2022; -1,1 per cento nel 2023) e dallo scenario “intermedio” della Banca d’Italia (-0,9 per cento nel 2022; -1,3 per cento nel 2023), per via di ipotesi meno forti sui prezzi del gas (Mef, BdI) e sui prezzi del petrolio (BdI) nel caso il conflitto o il blocco delle esportazioni si protraggano fino alla fine del 2023. D’altra parte, l’effetto si applica a un’ipotesi centrale che nel quadro previsivo del Centro Studi Confindustria è molto meno ottimistica. Mef e Banca d’Italia hanno poi elaborato degli scenari ulteriormente peggiorativi.
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