Tratto da lavoce.info
DI GIACOMO D’ARRIGO, docente a contratto presso l’Università di Messina
E PIERO DAVID, ricercatore in Economia Applicata presso l’ISMED-CNR di Palermo e Ph.D in Economia ed Istituzioni presso l’Università di Messina
L’Italia ha costruito un Pnrr molto rigido e dettagliato, con l’obiettivo di risolvere le criticità strutturali della nostra economia. Ora anche la politica deve darsi una governance stabile e credibile per i prossimi anni. A partire dal Quirinale.
Pnrr a tappe serrate
Il dibattito sull’elezione del Presidente della Repubblica è strettamente legato alle vicende del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Col Next Generation EU, il nostro paese ha imboccato una strada nella quale si può correre, come è avvenuto nel 2021, per colmare il divario di produttività con Francia e Germania; oppure si può avanzare a rilento, sprecando un’occasione unica e irripetibile; ma si può anche andare a sbattere, rischiando il default e condannando le nuove generazioni a un futuro meno prospero e più precario.
La direzione e la velocità nel percorso dipenderanno esclusivamente dalla sicurezza e dalla stabilità di chi sarà alla guida del processo. E nel contesto politico italiano attuale, la sicurezza può essere garantita solo da una configurazione politica, una governance, molto simile a quella che ha portato alla nascita del governo Draghi: ampia maggioranza, presidente del Consiglio con un profilo autorevole e competente, principali istituzioni allineate sulla strategia dell’Italia per un’Europa più forte.
Il Piano è articolato infatti in 213 “traguardi” o milestone (le riforme da adottare) e 314 “obiettivi” o target (i risultati raggiunti misurati da specifici indicatori) distribuiti in semestri, da raggiungere per poter chiedere alla Commissione europea le diverse tranche dei 191,5 miliardi di euro (cui 68,9 miliardi in sovvenzioni e 122,6 miliardi in prestiti) messi a disposizione per il nostro paese (Tabella 1).
Entro il 2021 l’Italia ha conseguito tutti i 51 step previsti per il primo semestre, e ha così chiesto – e ottenuto – la prima tranche di finanziamenti del 2022, pari a 24,1 miliardi di euro (di cui, 11,5 miliardi a fondo perduto e 12,6 a prestito).
Nel 2022 saranno cento gli step da conseguire (45 entro giugno 2022, quasi tutti leggi e decreti attuativi), di cui 83 riforme e 17 obiettivi. Negli anni successivi si ridurranno le milestones, ma aumenteranno i targets (Figura 1): in sostanza, prima si adeguerà il quadro normativo e subito dopo arriveranno anche i risultati misurabili.
Se il Parlamento si impantanerà e si bloccherà sull’approvazione di alcune riforme, come è avvenuto spesso in passato, si interromperà l’attuazione del Pnrr, ma soprattutto l’erogazione delle risorse previste. È lo stesso governo, nella Relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza presentata al Parlamento il 23 dicembre 2021, a precisare che, “poiché il mancato rispetto del cronoprogramma indicato dal Pnrr comporta costi molto alti, l’opzione di rinvii incompatibili con le tempistiche indicate non appare più percorribile”.
A tutto ciò si aggiunge la consapevolezza di non poter nemmeno rallentare il percorso di attuazione, perché qualsiasi fase di instabilità politica si rifletterebbe immediatamente in un aumento dello spread, che, con un rapporto debito/Pil superiore al 156 per cento, in pochi mesi, con le spese per gli interessi sul debito, vanificherebbe quanto di buono fatto finora. Quindi, siamo costretti a essere credibili e affidabili, oggi molto più che negli anni passati.
Il senso di responsabilità della politica italiana
Sarebbe sbagliato pensare che questa strada stretta l’abbia stabilita l’Europa sulla spinta dei cosiddetti paesi “frugali”. La politica italiana, con merito e senso di responsabilità, ha scelto le regole del Pnrr. Gli altri paesi europei non hanno adottato una governance così dettagliata, stringente e rigida per i loro Piani. Solo l’Italia ha previsto strutture, poste al riparo dal meccanismo dello spoil system generato da eventuali cambi di guida politica del governo, che rimarranno in carica fino al 31 dicembre 2026, e poteri sostitutivi da parte dello stato nei casi di inadempienza, ritardi, inerzia, dissenso, diniego e opposizione, di un soggetto attuatore di progetti o interventi ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Piano.
Il nostro paese ha costruito un Pnrr molto rigido e dettagliato, perché l’obiettivo – ambizioso – non è solo quello di stimolare l’economia dopo la crisi pandemica, ma è soprattutto quello di intervenire sulle criticità strutturali dell’economia italiana: instabilità politica, assenza dagli anni Settanta di riforme di sistema, limitata presenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei processi amministrativi e produttivi.
In conclusione, il governo ha scelto aprire una fase di rilancio per il nostro paese, consapevole di intraprendere una strada piena di ostacoli. Per completare il percorso in modo efficace, non basta avere realizzato una governance accurata del Pnrr. Il dizionario Garzanti definisce la governance come “autorità di governo, effettivamente in grado di gestire la direzione politica e amministrativa di uno stato”. È necessario, pertanto, costruire una “governance” stabile e credibile anche per la politica italiana dei prossimi sette anni, mantenendo la configurazione che ha portato all’approvazione del Piano: condivisione istituzionale, profili alti ed europeismo. Se salta questo schema, salta anche il Pnrr. Bisogna mantenere la velocità iniziale e continuare nella costruzione di una governance adeguata. A partire dalla scelta di chi siederà al Quirinale.
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