Tratto da lavoce.info
DI FRANCESCA CECCATO, ISTAT, Collaboratrice di ricerca in servizio presso il Servizio Sistema integrato lavoro, istruzione e formazione
MARILENA A. CIARALLO, ISTAT, Ricercatrice presso l’Istituto Nazionale di Statistica dal 2001.
E PAOLA CONIGLIARO, ha lavorato per la sottocommissione sostenibilità della Commissione scientifica del Benessere Equo e Sostenibile.
È facile avere visioni molto diverse sul costo del lavoro, ad esempio tra imprenditori e lavoratori. Una pubblicazione dell’Istat permette di approfondirne alcune dimensioni, per settore di attività, ripartizione territoriale e classe dimensionale.
Quanto valgono le componenti del costo del lavoro in Italia?
È facile avere visioni molto diverse, e talvolta imprecise, sul costo del lavoro ad esempio a seconda che a parlarne sia un imprenditore o un lavoratore. Una recente pubblicazione dell’Istat permette di approfondire alcune dimensioni del costo del lavoro per settore di attività dell’unità economica, ripartizione territoriale e classe dimensionale.
La Rilevazione sulla struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro (Rcl-Lcs) sul 2020 si riferisce ai lavoratori dipendenti di imprese e istituzioni private e pubbliche con almeno 10 dipendenti. Riguarda 12,5 milioni di posizioni lavorative – la metà del mercato del lavoro – distinte tra servizi (71,9 per cento) e industria (28,1 per cento), ripartiti tra settore privato (73,1 per cento) e pubblico (26,9 per cento).
Il costo del lavoro medio per ora lavorata è pari a 29,4 euro: 21,2 euro di retribuzione lorda, 8,1 euro di contributi sociali e 0,1 euro di costi intermedi. Il complesso delle spese sostenute nel 2020 dai datori di lavoro per impiegare lavoro dipendente è in media di 41.081 euro: il 72 per cento è rappresentato dalle retribuzioni lorde (29.591 euro), il 27,7 per cento dai contributi sociali a carico del datore di lavoro (11.366 euro) e lo 0,3 per cento dai costi intermedi (123 euro), che includono pure le spese di formazione (0,2 per cento).
La componente principale del costo del lavoro è la retribuzione in denaro (71,3 per cento), distinta in importi ricorrenti, erogabili in ogni periodo di paga (22.744 euro, 55,4 per cento del costo del lavoro); importi non ricorrenti, tipo mensilità aggiuntive o premi annuali (3.856 euro, 9,4 per cento); remunerazioni per ore non lavorate, come ferie, festività o permessi (2.700 euro, 6,6 per cento) e, residuale, la componente in natura (284 euro, 0,7 per cento).
La seconda componente sono i contributi sociali a carico del datore di lavoro (27,7 per cento), a loro volta distinti in contributi obbligatori per legge (8.668 euro, 21,1 per cento); contributi volontari e contrattuali (155 euro, 0,4 per cento); accantonamenti del trattamento di fine rapporto (Tfr) (1.521 euro, 3,7 per cento); contributi sociali figurativi (1.023 euro, 2,5 per cento). Infine, ci sono i costi intermedi connessi al lavoro (123 euro, 0,3 per cento).
Per ogni 100 euro che il datore di lavoro eroga come retribuzione lorda, 38,4 euro sono i contributi sociali a suo carico. Differenziato per settore di attività economica è, in media, il peso di alcune componenti rispetto alla retribuzione lorda: la retribuzione per ore non lavorate ma retribuite dal datore di lavoro incide per il 9,1 per cento, gli importi non ricorrenti pesano il 13 per cento, l’1 per cento sono le retribuzioni in natura, il 3,5 per cento sono i contributi sociali figurativi e il Tfr è il 5,1 per cento (per i comparti del settore pubblico, concentrati nel settore O, il trattamento di fine servizio è conteggiato tra i contributi sociali obbligatori).
Quanto ha lavorato nel 2020 un lavoratore dipendente?
Un lavoratore dipendente ha lavorato in media 1.398 ore all’anno, pari all’82,9 per cento delle ore retribuite (che invece erano 1.686, comprendendo ferie e permessi a carico del datore di lavoro). Per i dipendenti full-time si sale a 1.519 ore (l’82,8 per cento delle 1.834 ore retribuite), per i part-time si scende a 895 (83,2 per cento delle 1.075 ore retribuite). Un dipendente part-time ha lavorato in media il 58,9 per cento di un full-time. Il lavoro straordinario è stato in media di 48 ore, il 3,4 per cento delle ore lavorate.
Tra il 2016 e il 2020, il costo del lavoro per dipendente è diminuito (-1,7 per cento), mentre è aumentato quello per ora lavorata (+5,3 per cento). La differenza tra i due dati è riconducibile in larga misura al forte incremento della Cig nel primo anno pandemico: i settori in cui la forbice tra i due indicatori è più ampia sono quelli che mostrano il calo più consistente delle ore lavorate pro-capite (attività dei servizi di alloggio e di ristorazione; attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento; altre attività di servizi). Invece, le ore lavorate per dipendente sono scese in media del 6,6 per cento. Oltre alla Cig, anche la crescita della componente part-time ha determinato un incremento dell’occupazione e una contestuale diminuzione delle ore lavorate pro-capite.
Com’era composto il costo del lavoro in Europa?
A livello europeo, per il confronto, si utilizza il costo del lavoro in senso stretto (esclusi i costi intermedi connessi al lavoro), limitato ai comparti industria e servizi, senza il settore dell’amministrazione pubblica e difesa e dell’assicurazione sociale obbligatoria in quanto settore non diffuso da tutti i paesi. Così definito, il valore del costo del lavoro in senso stretto per ora lavorata è stato pari a 28,3 euro nella media Ue27 e a 32,1 nell’area dell’euro (19 paesi).
Le differenze tra gli stati europei sono molto marcate: dai 6,7 euro per ora della Bulgaria si sale ai 47,5 euro del Lussemburgo. L’Italia, con un costo del lavoro orario in senso stretto di 29,1 euro, è all’undicesimo posto nell’ambito dei 26 paesi dell’Unione europea (ordinati in maniera decrescente) e si colloca al di sotto della media dell’area euro. In termini comparati il nostro valore è superiore a quello della Spagna ma più basso di Francia e Germania. I contributi sociali per ora lavorata nella media Ue27 rappresentano il 23,7 per cento del costo del lavoro in senso stretto e nell’area dell’euro il 24,3 per cento. Anche in questo caso le differenze tra gli stati membri sono ampie e l’Italia è al sesto posto con 8,1 euro. Se la classificazione viene fatta per incidenza dei contributi sociali a carico del datore di lavoro (esclusi i costi intermedi) sulla retribuzione lorda, l’Italia è il terzo valore più alto con un peso medio per ogni ora lavorata del 38,6 per cento, dopo Svezia e Francia che superano il 40 per cento. Lituania e Romania sono i paesi dell’Unione europea dove i contributi sociali pesano meno sulla retribuzione lorda (rispettivamente 6,1 per cento e 6,4 per cento).
L’eterogeneità nel costo del lavoro sottolinea la necessità di un allineamento a livello europeo per scoraggiare attività di dumping salariale tra paesi e garantire eque retribuzioni per i lavoratori europei.
* Le opinioni espresse dalle autrici non impegnano l’Istituto d’appartenenza
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